Marketing Trauma-informed vs Predatory Marketing


Molti di noi hanno subito lungo la vita una qualche forma di trauma, non fosse altro il Trauma Collettivo rappresentato dalla Pandemia, che in un dato momento ha impattato a livello globale con lo stesso tipo di esperienza, e in contemporanea, milioni di persone.

L’impatto della Pandemia è stato tale anche perchè ha “triggerato”, risvegliato, amplificato ulteriori situazioni personali. Ciascuno di noi ha quindi risuonato più o meno a seconda della propria esperienza di vita, e sensibilità, con una personale risposta.

Cosa c’entra questo con il marketing?
C’entra eccome.

Nel primo mese della pandemia ricordo di aver avuto una eclatante sensazione di distonia leggendo i contenuti di un collega che, dall’altra parte del mondo, ancora non stava vivendo quanto da noi era già esploso. I suoi contenuti, che avevo sempre apprezzato, mi apparvero improvvisamente fuori dal mondo, inopportuni, non consoni. Perché?

Perché sembravano paventare un mondo idealmente perfetto che da quest’altra parte si era già frantumato e non esisteva più. Le sue parole mi suonavano false, millantatorie, inautentiche, fuori dalla realtà.

Ecco, io credo che oggi, con la crescente consapevolezza che tutti hanno acquisito, con il velo di Maya che è caduto rispetto al poter fare le cose in altro modo, e anche con l’essere entrati in contatto con quanto sentiamo e ciò di cui abbiamo bisogno, a livello mentale, emotivo, spirituale e concretamente economico, anche chi si occupa di marketing debba fare una profonda riflessione sulle proprie pratiche, se non vuole subire una Great Resignation dei consumatori.

Un grande distacco, figlio di saturazione da input, e incapacità di trovare ascolto e voci autentiche.
Del resto… crisi economica, due guerre, più tutto ciò che già è stato vissuto e continua nei suoi effetti, è più che sufficiente a innescare un check di realtà, a mandare in freeze, e nell’incertezza, generare una ri-prioritizzazione di risorse scarse (attenzione, denaro, energia, etc).

Per il marketing credo sia giunta l’ora di ripensarsi in maniera più inclusiva, strengths based, e trauma informed.
Abbiamo bisogno di un marketing più empatico, che ci faccia sentire visti e ascoltati per davvero, e non manipolati.
Quando ci confrontiamo con il linguaggio e le immagini usate per vendere, influenzare, anche da organizzazioni non profit ci rendiamo subito conto di come a fronte di uno scopo etico, di finalità for good, la modalità usata per vendere cause, prodotti e servizi, non è altrettanto allineata.
Il che rende molto distonico il tutto.
Un marketing e una comunicazione dell’urgenza, della scarsità, della pressione, della pietà e del dolore, per farti entrare in un mondo che poi dovrebbe e vorrebbe essere il contrario ovvero uno spazio sicuro, aperto, collaborativo, basato sulla fiducia…sono un ossimoro.
Un conto è rincorrere una comunicazione efficace, un conto è saper adottare anche una comunicazione consapevole e che non riattivi micro-traumi, che escluda, che non tenga conto del caleidoscopio di sensibilità e del funzionamento fisiologico delle persone.
Essere una Non profit non è garanzia del saper comunicare bene e in modo rispettoso, così come essere una Profit non ti esclude dal porti la questione, perché i tuoi consumatori funzionano allo stesso modo.

Diviene quindi molto importante oggi cominciare a percorrere una via nuova, difficile di certo, che ricerchi empatia con la tua nicchia, con i tuoi consumatori, con coloro che vuoi attrarre non facendoli sentire sbagliati, senza capacità di impatto, senza risorse, soli, collassati.
Non prendendoli di mira come un cecchino, scegliendoli – nel loro customer journey o viaggio dell’eroe – proprio sul ciglio del burrone e dandogli una agile spintarella nel momento opportuno.
Al contrario è tempo per un trauma-informed marketing, che fornisca informazioni, educazione, empowerment, empatia e supporti e attragga con rispetto e lasciando libertà di scelta.
Questo implica un messaggio di una chiarezza cristallina, che non lascia nulla al caso, che non gioca sulle aree grigie e sulle sfumature dei non detto ma lasciato intendere.

Seguire la via trauma-informed non vuol dire occuparsi del trauma che è compito di specialisti, ma vuol dire essere informati della sua esistenza, e anche dell’impatto che con le nostre pratiche abbiamo nel riaccenderlo o sollecitarlo.
È una responsabilità sociale che consente comunque di continuare a fare business e vendere.
È una postura professionale, una scelta di campo, un saper danzare coi tempi che viviamo e non proseguire con metodi funzionali e usati in maniera acritica, e che ormai provocano scintille come due pezzi di ferro che fanno attrito.

Sempre più forte si fa l’evidenza di un forte bisogno di benessere mentale e fisico. Moltissimi lavoratori con cui nella mia pratica da coach vengo in contatto sono in burnout, e non è più possibile credere o lasciar intendere da parte delle aziende che si tratta di situazioni individuali.
Ambienti lavorativi tossici, relazioni e ritmi pressori, frenesia da rimonta per colmare quanto abbiamo perso collettivamente come sistema paese, non fanno altro che spompare e portare allo stremo degli umani che sono in costante compensazione tra quanto sentono e quanto viene iperstimolato.

E qui parlo anche alla mia categoria che nel coaching, counselling, formazione, HR non può offrire una professionalità da “spazio sicuro e di trasformazione” vendendolo con un marketing che sollecita il sistema simpatico, mandando in allerta le persone e quindi generando segnali di profonda distonia.

Questo flusso non può procedere più come prima, come se niente fosse accaduto, senza tenere in conto ciò che si attiva a livello emotivo, al livello fisico, di sistema nervoso.

In tempi di incertezza, transizione, complessità, occorre prepararsi di più. Occorre cambiare.
Si sa che gli eventi traumatici (e una pandemia lo è stato) lasciano strascichi per molti anni a seguire. E mi mantengo solo su questo evento così globale per settarci su un qualcosa di cui abbiamo avuto esperienza tutti e possiamo comprendere.
Ma le sensibilità e il tipo di traumi sono di moltissime nature.
Occorre quindi tenerne conto e cogliere questa occasione per evolvere, per imparare a prosperare in una maniera più sostenibile, rispettosa, etica, informandosi, e ri-apprendendo a comunicare e vendere attraverso modalità diverse.
Se da tempo si parla di Leadership gentile, forse è proprio arrivato anche il tempo per un marketing più sensibile, informato al trauma.
E sì, si può fare a partire da una revisione del linguaggio, delle immagini, della user experience con cui progettiamo i nostri siti o le pagine di vendita o le ADV.
E soprattutto ponendoci domande e facendo delle scelte, delle sperimentazioni, degli apprendimenti.
Non c’è mai stato, ma ora a maggior ragione, non è più il tempo del “si è sempre fatto così”.
Potremo fare degli errori strada facendo, ma è il tempo di incamminarci.