È tempo per una posizione C-Level?


Ho avuto modo di seguire Senior Manager che a tutti gli effetti ricoprivano mansioni da Executive da tempo, ma a cui per motivi vari non era ancora stata riconosciuto ufficialmente il ruolo.

Ho anche seguito CEO, CFO, etc appena nominati, e che tra i vari aspetti complessi da gestire entrando in ruolo, si ponevano quello di dimostrare uno standing coerente.

Un livello executive, più di altri, richiede abilità di strategia e visione ma anche di sofisticata gestione delle relazioni. In primis con se stessi.

Gli altri, in qualche modo, occorre che ci riconoscano non solo la visione, il fiuto, la capacità di tenuta della complessità, ma anche una dimensione politica e di influenzamento che spesso va allenata e dimostrata prima, e per entrare nel ruolo.

Mi è capitato di seguire clienti che seppur considerati arguti e un riferimento per tutto il team di Direzione, seppur considerati una super risorsa, degli “irrinunciabili” per l’azienda, in molti momenti cruciali, anzichè coinvolgere gli altri diventavano un punteruolo ficcato nella pancia di chiunque osasse non stare al loro passo, alla loro velocità, di pensiero e di azione.

In molti di questi casi, l’azienda riconosce le potenzialità, ma chiede alla risorsa di canalizzarle in modo generativo per tutti.

In genere, attraverso un percorso di coaching si lavora sulla relazione con se stessi e con gli altri. Si arriva a individuare la maschera che, seppur funzionale, comincia a essere stretta, e va trasformata.

Si tratta di apprendere un nuovo funzionamento. Concedersi il rischio di scoprire che si funziona, anche in un altro modo, oltre che indossando la solita maschera ruvida. Anche se all’inizio ci si sente scoperti, fragili. Nella realtà dei casi, si sta sbloccando tanta potenzialità semplicemente non esplorata, dandosi il permesso di scoprire i vantaggi di cambiare passo.

Il processo di coaching spesso porta la persona a lavorare con gli altri in altro modo, con altri ritmi. Si inizia molto presto a sperimentare i vantaggi del tenere la morsa più lenta, ottenendo feedback inaspettati e genuini, assaporando il gusto del mettere gli altri in condizione di credere nei nostri progetti, farli propri e tirare assieme a noi. Da visionari, si diventa anche facilitatori di processi e mentori che abilitano gli altri.

I vantaggi sui progetti sono spesso immediati ed evidenti. Quelli sulla carriera, anche. In molti casi che ho seguito, finalmente, quel ruolo di CEO per cui la persona si sentiva pronta da tempo, per cui era papabile da tempo, è finalmente arrivato.

Il contesto attorno a noi spesso vede e riconosce ciò di cui siamo capaci, ma ci chiede un lavoro di investimento da parte nostra su di noi, sulle nostre asperità, sulle nostre paure.

E’ come un rito di passaggio.

Un nuovo ruolo non si può gestire con lo stesso mindset, con gli stessi comportamenti, con le stesse aree di confort.

A volte, quello che sembra un passo indietro, non è altro che un passo di lato, uno scostamento per osservare da altra prospettiva, continuando ad agire e a imparare. A quel punto, quell’investimento, che il contesto ci sta chiedendo, viene riconosciuto molto velocemente.

Perchè altro non era che una possibilità già pronta, una opzione disponibile per noi, ma situata su una rotaia diversa. Per raggiungerla dovevamo azionare la leva dello scambio.